I conduttori di immobili ad uso diverso chiedono la riduzione del canone a seguito della situazione creata dalle misure del Governo sul coronavirus
di Ladislao Kowalski
Volendo considerare la posizione dei conduttori di immobili ad uso diverso, che chiedono la riduzione del canone a seguito della situazione determinata dalle misure assunte per contrastare l’epidemia di Coronavirus , si possono ipotizzare le seguenti soluzioni giuridiche nessuna delle quali, tuttavia, potrebbe soddisfare appieno l’aspettativa del conduttore in relazione alla prosecuzione dell’attività:
1) la prima è prevista dall’art. 27 della L. 392/78 per cui, per gravi motivi, il conduttore può recedere con preavviso di 6 mesi (soluzione che, se percorribile, comporterebbe, comunque, la cessazione dell’attività cosa, evidentemente, non gradita nell’aspettativa che la crisi da Coronavirus possa essere superata. Inoltre, bisognerebbe pur sempre valutare che si tratta, quantomeno al momento, di una situazione temporale, come tale non definitiva che potrebbe anche concludersi nell’arco di qualche settimana. Tra l’altro il canone per il semestre dovrebbe rimanere quello contrattuale);
2) l’altra ipotesi è quella della “impossibilità parziale sopravvenuta” come prevista dall’art. 1464 cc. Quella disposizione, infatti, prevede la possibilità della riduzione della prestazione (canone). Bisognerebbe, tuttavia, considerare la vicenda del Coronavirus come “… prestazione di una parte (locatore) divenuta solo parzialmente impossibile …”. Quindi ritenendo violato l’obbligo del locatore di consegnare e mantenere il bene in condizione da essere utilizzato secondo l’uso contrattualmente stabilito ai sensi dell’art. 1575 cc. Inoltre, anche qui come sopra, va considerato che la situazione di “impossibilità sopravvenuta parziale”, allo stato non ha le caratteristiche della definitività;
3) la terza ipotesi è quella della “eccessiva onerosità sopravvenuta” ai sensi dell’art. 1467 cc. Tale soluzione, tuttavia, potrebbe determinare solo la pretesa di risoluzione del contratto da parte del conduttore (evitando il preavviso di 6 mesi per gravi motivi). Ciò sempre che il locatore, di fronte alla richiesta risoluzione, non “offra di modificare equamente le condizioni del contratto.” Anche in questo caso, tuttavia, va considerata: la non definitività della situazione di crisi che determina l’eccessiva onerosità ed il fatto che vi è il rischio di risoluzione del contratto e, pertanto, di cessazione dell’impresa;
4) la quarta ipotesi è quella della impossibilità parziale di rendere la prestazione dovuta (canone) quando la stessa sia divenuta impossibile solo in parte. Ciò ai sensi dell’art. 1258 cc. In questo caso il debitore (conduttore) si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile. Anche qui, tuttavia, deve considerarsi che l’impossibilità parziale, allo stato, non è definitiva. Superata l’emergenza, infatti, l’immobile sarà nuovamente e totalmente utilizzabile;
5) a seguito del provvedimento di chiusura delle attività commerciali di cui al Dpcm dell’11 marzo 2020, risulta ammissibile la disposizione relativa alla cosiddetta impossibilità temporanea di adempiere alla propria obbligazione di cui all’art. 1256 cc. Va considerato, infatti, che il divieto di esercitare l’attività determina l’impossibilità per il conduttore di utilizzare l’immobile, quale prestazione dovuta dalla contro parte (locatore). La mancanza degli incassi determina l’impossibilità di adempiere alla propria obbligazione (canone). Ciò per il tempo per il quale durerà l’emergenza sanitaria. Pertanto, in applicazione della disposizione, il conduttore “non è responsabile del ritardo nell’adempimento”. Si tratta tuttavia di una posticipazione dell’obbligo e non di una sua esclusione. Tale ultima potrà avvenire solo qualora l’impossibilità perduri fino a quando, considerato il rapporto in corso, non vi sia più obbligo a corrispondere la prestazione del canone. Al contrario, dal momento in cui cessi l’impossibilità sia cessata, il conduttore sarà tenuto al pagamento dei canoni precedenti non corrisposti;
6) l’art. 91 del DL 18/2020 , introduce una disposizione che, evidentemente nell’intenzione del legislatore, è diretta a considerare le conseguenze di un inadempimento qualora le stesse derivino dal “… rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto …” precisando che tale situazione “ … è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 (responsabilità del debitore) e 1223 (risarcimento del danno) c.c. …” e ciò in relazione a “… eventuali decadenze o penali connesse a ritardi o omessi adempimenti.”.
A ben vedere, tuttavia, tale disposizione ha un mero ed esclusivo valore rafforzativo e confermativo, delle disposizioni dell’ordinamento che lo stesso art. 1218 richiama direttamente. Si tratta proprio delle disposizioni di cui agli artt. 1256 c.c. (impossibilità definitiva o temporanea) e 1258 c.c. (impossibilità parziale) che abbiamo considerato ai precedenti punti 4 e 5 e che determinano le conseguenze tutte lì esposte. Ciò sia in relazione all’argomento che qui ci occupa relativo al pagamento del canone, sia in ordine a tutte le diverse e variegate possibilità di “inadempimento” che derivino dal rispetto delle disposizioni limitative che l’emergenza sanitaria ha imposto. In conclusione, salve tutte le riserve ed indicazioni date, appare difficile sostenere il diritto del conduttore ad un’automatica riduzione del canone. A questo punto, pertanto, qualora si voglia perseguire quel risultato non rimarrà che:
a. chiedere, per le vie ordinarie, la riduzione del canone quantomeno per il periodo di crisi e concordare ciò in via amichevole e transattiva con il locatore;
b. nel caso di rifiuto del locatore (mantenendo il pagamento del canone vigente ad evitare eccezioni di risoluzione del contratto), il conduttore potrà convocare lo stesso in mediazione. Trattandosi di una possibile controversia di tipo locativo, infatti, prima dell’eventuale giudizio è obbligatorio esperire tale procedimento come previsto dal D.Lvo 28/10;
c. nel caso di fallimento della mediazione, non rimane che la via giudiziale sostenendo una delle ipotesi formulate in precedenza quale quella della impossibilità parziale sopravvenuta o le altre indicate
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